di Antonio Picariello
(...) Poi come d'uno schermo, si accorgeranno di gitto alberi case colli per l'inganno
consueto.
Ma sarà troppo tardi; ed io me n'andrò zitto tra gli uomini che non si voltano, col mio
segreto. (Eugenio Montale)
C'é un immenso repertorio di immagini invisibili nelle opere di Pettinicchi. Una moltitudine di visioni interiori che lasciano il ventesimo secolo per entrare nel terzo millennio col racconto
della traccia molisana: fatti comuni, epica della strada, mitologia della provincia trasformate in preziosità universali con la raccolta sensitiva del tempo comune, pubblico, generazionale. Ma
anche collezione soggettiva della storia.
Preminenza dell' "essere" sulla solitudine in osmosi agli itinerari della memoria collettiva: uomini, fatti, racconti, ridotti a figure, personaggi e ambienti senza rumori nel potenziale divenire
di "sensazione votiva". Soggetti e gestualità che incidono nel colore simbolismi del silenzio come "gridi" "munchadiani" a dichiarare che affermarsi non giova: si è comunque vissuti più che non
si vive e vale soltanto accettarsi, accettare cercando nell'ironia un punto di lucidità.
Fantasmagorie in amicizia al linguaggio realistico del dopoguerra, forma del colore nella disposizione visuale che oscilla tra figurativismo e "altro" come a dire "gli angeli" si manifestano per farsi riconoscere ma non sono riconoscibili nella loro propria identità. In questo senso le opere trattano materia onirica, immagini che strutturano le maglie dello specchio perché non possono riflettersi: non ritornano ma rimandano all'immobilità fuori dalla storia dove il destino si equivale e il non muoversi è lo stesso movimento.
Volontà della natura che prende le alternative e le scelte in discendenza all'arbitrio e al caso: guardare lontano o vicino guardando se stessi con la identica conclusione disincantata e scettica
che chiude sempre con la saggezza e qualche richiamo mitico.
Le opere senza titolo questa volta danno nome al luogo sacro, conversano con i predecessori di scuola napoletana, i maestri e i discepoli tra altari intarsiati e canne d'organo, archi "affrescati
di scuro" che testimoniano il particolare - imprinting visivo nella formazione di Antonio Pettinicchi o la soggettività che lavora raccogliendo materiale dalla propria esperienza con gli oggetti
fisici o con forme isolate assorbite dal luogo mentale dell'artista, dal ricettacolo dell'inconscio, da dove riemergeranno in forma di immagini ricostruite e ricreate.
Pettinicchi non cerca ma vive di curiosità visiva: in atteggiamento recettivo, in attesa che le idee sgorgano da se stesse. Opere come incontri tra dissoluzione e fenomenologia che non invecchia
le cose ma che conserva entità della creazione ed energia modellandosi nel tempo: trasformazione della forma in creatività continua attraverso l'azione naturale della storia. Lo stesso tempo
creativo che si respira nel ludismo primordiale concepito semplicemente come una composizione di eventi che hanno avuto luogo o che stanno avvenendo o
che devono avvenire inevitabilmente nel prossimo futuro. Qui il tempo deve essere vissuto e sperimentato per diventare reale. Il futuro non vissuto non ha senso, non si sa come pensarlo a meno
che non sia qualcosa che fa parte del ritmo naturale come il ciclo espressivo di queste opere dove le stagioni si danno il colore e le civiltà si identificano nell'antichità di un gesto, in uno
sguardo o in una ironia per il nostro futuro anteriore.